Michele Cascella arrivò a Portofino negli anni 30, ma aveva già iniziato ad amare il borgo prima ancora di vederlo, grazie ai racconti di Salvator Gotta, che già vi viveva. Si convinse subito che era il posto ideale per un pittore che prediligeva il contatto con la natura, l’aria aperta, il cielo, la campagna. Da qui la decisione di comperare un alloggio in piazzetta, con un piccolo terrazzo dove l’occhio può spaziare dalla penisola al monte. Più tardi affittò anche una casetta sotto il castello Brown, in mezzo agli ulivi, che diventerà il suo studio en plain air, la casa di Faffy, come amava chiamarla. Da quelle balzedipinse la piazzetta, sempre incorniciata dagli ulivi che lo riportavano alla terra d’Abruzzo. Michele Cascella, Michelone come lo chiamavano gli amici, visse lunghe stagioni con la sua prima moglie sovietica, la figlia Annusa, gli amici.
A suo modo era anche mondano, col suo grande testone pelato, gli occhi azzurri, i calzoni di velluto stazzonati, il maglione girocollo e l’immancabile pipa sotto i denti, sempre alla ricerca di nuove inquadrature da immortalare sulla tela. II suo vocione roco, amico e cordiale con i portofinesi, si sentiva spesso ai tavoli del ristorante “Delfino”, dove ritrasse i due fratelli Rino e Gigi Velo, che allora con Poppo, a lungo sindaco del borgo, conducevano il ristorante. È del 1939 la splendidagouache di Paraggi, con la spiaggia, la lunga fila di cabine rosse, i bagni Fiore, gli ombrelloni, i bagnanti, le vele, i pattini, tutto il mondo palpitante di una spiaggia d’agosto. Poi ci furono le mostre all’Azienda di Soggiorno, auspice Salvator Gotta, fino all’ultima, intorno all’ ’80, allestita alla Galleria Marosa, che aveva aperto i battenti in un appartamento della piazzetta sopra la trattoria “Navicello”.
Già in età avanzata, Cascella si risposò con una viennese che viveva in America, che gli sarà d’aiuto nei suoi sempre più lunghi periodi oltre Atlantico. Ricordo il piacere che provava nel raccontare d’aver venduto, durante una mostra a New York, un paesaggio all’attore di Hollywood, destinato a diventare presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan. E raccontava anche della visita dei Re Vittorio Emanuele III, a una collettiva dove esponeva alcune opere. Ad un certo punto il sovrano gli rivolse la parola: “Di che paese siete?” e “quanti abitanti fa il vostro paese“. Ottenute le risposte passò oltre. E ricordo ancora l’avvilimento di Michelone per non essere stato ammesso alla Biennale del 1910, lui che pochi anni più tardi si vide riservata una sala personale alla Quadriennale di Roma.
Poco dopoallestirono per i suoi quadri una grande rassegna alla Galleria 23 in Rue La Boitier a Parigi. In tempi più recenti, Cascella si trasferiva ogni tanto nella sua casetta di Colle Val d’Elsa, senza però abbandonare il borgo. Amava ripetere: «In California vogliono i fiori, il paesaggio e Portofino», quindi, instancabile, dipingeva pastelli, tempere e oli da trasferire laggiù. Alla sua prima visita, la signora Dianne Feinstein, sindaco di San Francisco, guardando ammirata la piazzetta ed il porto dal balcone di casa Fanfani, ebbe a dirmi: “Li conoscevo già dai dipinti di Cascella”. La vita è stata generosa con Michelone, che è arrivato a una venerabile età. Lucido, uomo roccioso, è stato un indimenticabile interprete e ambasciatore della natura, dei colori, della vita stessa di Portofino, dove ha trascorso tanti giorni felici e fecondi.
Michele Cascella
1982 – 1989
Portofino, un Mondo a parte.