Parlare di Nicola Abbagnano significa anche, in qualche modo, parlare di Portofino e di Santa Margherita Ligure, città che scelse come una seconda dimora e che dimostrò d’amare a tal punto di lasciar scritto di volervi esser sepolto. Abbagnano ere una rondineche ogni estate, tornava dalle nebbie padane in questa città per gioire del suo mare, del verde delle sue colline, del clima e, forse, anche di quel tramonto indimenticabile che André Gide chiamava l’heure bleu (l’ora blu), quel magico momento che dura pochi attimi, in cui tutto l’ambiente, compresa l’aria si colora di un tenue azzurrino. Un’atmosfera di poesia che, certo, Abbagnano gradiva.
Lui, che vibrava di una soavità che si esprimeva con i suoi occhi chiari, pieni di luce e col sorriso abbozzato sulle labbra. Osservandolo, proprio per la sua figura raffinata e bonaria, sembrava un poeta, un sognatore più che un filosofo immerso nella severità degli studi. In effetti,un’ondata di poesia attraversò tutta la sua opera. In un’intervista rilasciata dieci anni fa a Santa Margherita, alla domanda se si sentiva più ottimista che pessimista rispose: «Come ogni persona di buon senso, mi sforzo di essere un realista. E dico a me stesso: “Cerchiamo di vedere dove sono i pericoli e dove stanno le cose buone. Diamo forza agli elementi positivi della vita”. Non voglio entrarenei merito dei suo pensiero; altri l’hanno fatto e lo faranno con argomentazioni scientifiche e culturali. Ma, nella concezione della vita di Abbagnano, v’era una segreta venatura di religiosità che faceva distinguere il suo “esistenzialismo” che chiamava “positivo” da quella scienza trionfante e da quella pura tecnica che non trova nessi logici e dialettici nella filosofia.
Ma dei carattere dell’uomo desidero rimarcare due aspetti per me fondamentali ( e credo d’interpretare, in questo, il sentimento dei sammargheritesi che lo hanno conosciuto, stimato e amato): la semplicità e la modestia. Quella semplicità che fece di lui un grande divulgatore, un volgarizzatore della filosofia, come ne sono testimonianza i pregevoli testi del “Dizionario filosofico” o “La storia della filosofia” o, ancora, l’ultimo suo libro “La saggezza della filosofia” che, al pari dei penultimo divenne un best-seller. Della sua modestiaabbiamo assoporato per anni i benefici influssi, come quando si soffermava a parlare con il pescatore, con il marinaio, con l’uomo semplice, o come quando paragonava il carattere dei ligure, nella sua natura contorta e complessa, che però lui aveva compreso, all’albero di ulivo, che è il simbolo della regione.
Scelse Portofino e Santa Margherita Ligure nella primavera di tanti anni fa, ed acquistò quello che lui chiamava il buen retiro, il I aprile 1959. Fu, come disse nella già citata intervista, un simpatico “Pesce d’aprile” perchè Santa Margherita contò molto nei suo destino per almeno trent’anni. Qui conobbe, ai bagni Continentale, Gigliola che sposò nel 1972. Il suo arrivo portò una nuova e fausta luce. Collaboratrice e segretaria, gli stessi ideali di vita, Gigliola era ben felice di scrivere a macchina gli articoli che lui inviava al “Giornale” di Montanelli e alle riviste cui collaborava con assiduità. Per diciotto anni quel loro legame è sempre stato stretto e affettuoso. Amava il mare, Nicola Abbagnano: immergersi e riemergere dal mare dei Tigullio era per lui un momento di gioia e di allegria. L’ultima estate riuscì a vederlo solo per pochi giorni. Se ne andò all’alba del 9 settembre 1990. Aveva ottantanove anni, essendo nato a Salerno il 15 luglio 1901. Alla moglie lasciò scritto: «Voglio essere seppellito a Santa Margherita, che mi è stata tanto cara, mi ha rallegrato la vita, mi ha aiutato… ».
Nicola Abbagnano
1901 – 1990
Portofino, un Mondo a parte.