Già nei secoli passati si parlava di esercizi pubblici in Portofino, come si può leggere nei libri che riguardano questo paese. Ma dal 1800 ad oggi se ne possono elencare alcuni che, in Portofino, esistevano in numero abbastanza consistente, tenendo in considerazione la “grandezza” del piccolo paese e data l’importanza del porto ed il passaggio delle navi e dei bastimenti: la richiesta di derrate alimentari e di posti di soggiorno era infatti superiore agli abitanti perché nel porto soggiornavano personaggi come Papi, imperatori, prelati, politici e soldati per alcuni giorni od anche settimane, finché i fortunali da libeccio o lo scirocco cessavano e ritornava il buon tempo.
Sul finire del secolo XIX, Portofino ebbe la strada carrozzabile allacciata a Santa Margherita Ligure: questa importante opera trasformò quasi totalmente l’economia locale che passò dalla vita del mare, dei mulini e della campagna contadina a mestieri di trasporto via terra dei passeggeri. Portofino così diede inizio ad una economia turistica che è sempre stata in costante crescita ed è aumentata al punto che il gran numero degli esercizi commerciali è motivo di preoccupazione.
Il primo ristorante del Borgo fu lo “Stella” che, già da tempi remoti, faceva anche da pensione: le camere erano sulla Calata Marconi ed oggi sono ancora in possesso dei Gazzolo, discendenti della famiglia proprietaria di questo ristorante. Le famiglie dei Gazzolo, in Portofino, sono quelle che ebbero più fiducia nelle attività del turismo, tanto che anche altri loro parenti iniziarono attività nel settore degli alberghi, ristoranti, drogherie e trasporti in genere. A memoria d’uomo, con l’aiuto di vecchie riviste e di persone anziane, si può ricostruire il numero degli esercizi esistenti nel tempo e i nomi delle famiglie che li gestivano: senza tradire il carattere del ligure, con tanto sacrificio e tanta tenacia, riuscivano a lasciare in eredità ai loro figli un lavoro che garantiva il futuro.
Va ricordato che allora non esisteva via Roma, ma la via era chiamata “carrugio delle anime” perché esisteva l’oratorio e, alla sera, tutti avevano paura a transitare sulla strada perché vi era il torrente e si diceva che ci fossero gli spiriti maligni. Dopo lo “Stella”, si possono nominare gli esercizi pubblici degli ultimi 150 anni, dividendo l’elenco in due periodi: fino agli anni ’30 e dopo gli anni ’30.
Fino agli anni ’30, cominciando dal Molo Umberto e facendo il giro del paese che allora arrivava in cima a Vico Dritto, troviamo il ristorante “Delfino” delle sorelle Crovari, l'”Osteria del porto” di Luigi Viacava e Coletta Schiaffino, la trattoria “Tripoli” di Nicolin Viacava (oggi appartiene al figlio Emanuele); nella Penisola il ristorante “Aurora” di Benedetto Giuffra, l’osteria di Teresa Viacava, detta “Pittella”, zia dei fratelli Velo, oggi proprietari del ristorante “Delfino”, il caffè “Excelsior” di Santino Reppetto, dove la signora Lina inventò il primo gelato di nome “Paciugo“, oggi dei Gazzolo e Zucca, l’ albergo “Nazionale”, con annesso ristorante che la signora Enrichetta fece diventare famoso nel mondo per l’arte della cucina, il bar Roma di proprietà dei Rivani, la prima drogheria di Emanuele Gazzolo, detto “Numà”, in Vico Dritto, il ristorante “Rolando” dei Giuffra, l’osteria di Viacava Emanuele, detto “Menelik”, quella di Teresa Oneto, detta “Teinun” ed infine quella molto antica della Santa Schiaffino. Sul monte vi era poi l’Osteria del Nan, un locale dove, alla domenica e specialmente d’inverno, si andava a passare i giorni di festa: c’erano un campo per il gioco delle bocce e tavoli per giocare a carte, si potevano anche mangiare le trenette al pesto e i tortelli; questi sono dei grossi ravioli con un ripieno di erbe del Monte e di zucca: questo preparato era sistemato dentro la sfoglia di farina e quindi fritto ed era un piatto molto prelibato.
Così questo locale dopo la guerra divenne di moda anche per i turisti durante le passeggiate di escursione sul Monte, al punto che anche altri locali della zona potevano lavorare per tutto l’arco dell’anno. Voglio raccontare un aneddoto che in Portofino suscitò molta curiosità. Vi era un signore di nome Piero Moscatelli, amico degli Agusta, un signore molto allegro che si conquistò la simpatia di tuttoPortofino perché cantava molto bene e sapeva far divertire qualsia si persona, anche quelle che non conosceva. Il Piero possedeva una barca con la quale, in estate, andava in crociera: una volta, passando dall’isola del Giglio, imbarcò un cane randagio grigio e nero e lo chiamò Bibo. Questo cane si ambientò subito a Portofino e, come il padrone ottenne la simpatia di tutti. Moscatelli passava molto del suo tempo libero proprio dalla “Manue” all’osteria del Nan, così come anche il suo fedele amico: questa bestiola molto affettuosa, quando il suo padrone andava a Milano, viveva a San Sebastiano in “pensione ” dalla Manue e, quando il Moscatelli tornava a Portofino, il cane scendeva in paese per il tempo che il suo padrone rimaneva per poi, alla sua partenza, ritornare sul Monte.
A questo punto si verificava una cosa molto strana: quando il Piero saliva sulla macchina in partenza per Milano, il cane intuiva che doveva tornare sul Monte e gli bastava una parola e un cenno della mano del padrone per capire; al ritorno invece il Moscatelli si fermava a Santa Margherita per telefonare alla Manue per awisarla così il cane, ogni volta che squillava il telefono, si avvicinava per sentire chi telefonasse e, se udiva il fischio del padrone, faceva qualche salto di gioia e subito dopo scompariva andando giù in paese al garage ad aspettare il suo padrone. È solo una piccola cosa, ma a Portofino di piccole cose significative ne esistono abbastanza. Un cenno d’obbligo va dato alla tabaccheria di Giovanni Olivari e della sua consorte Maria Traverso, primogenita della Caterina Crovo, detta “dei pizzetti” o “la Banchiera”.
Gestendo il negozio di tabaccheria sin dagli anni ’20, diventa il centro dove si può trovare di tutto; si potranno infatti comperare dalle scarpe di tela con la suola in gomma d’auto al carburo per acetilene, dalle pitture al tabacco da fiuto, dalle caramelle ai “libieti”, i ceri che si accendono durante la Novena dei Morti, dai giornali ai giocattoli, dagli oli di merluzzo e di lino al petrolio per i fanali, dal dentifricio e gli articoli di profumeria ai quaderni, dalla naftalina ai bottoni, alla chincaglieria, alle canne da pesca, al tea, alla camomilla, al chinino: insomma, di tutto un po’ e tutto in pochi metri quadrati. Erano bei tempi, di cose belle e semplici, persino il postino lasciava la posta dal tabaccaio per evitare di salire sul Monte, i contadini – molti allora – scendevano a piedi ogni giorno per le spese e per chiedere: “oggi c’è niente?”.
La Maria era un riferimento, un’istituzione, sempre gentile, sempre disponibile: il suo orario di lavoro iniziava alle 7 del mattino e continuava sino a tarda notte, le sue ferie consistevano nel chiudere il negozio dalle 11 alle 15 del pomeriggio del solo giorno di Natale: allora si usava così. In cambio, ebbe una bella festa il giorno del matrimonio, una festa di lusso: la cerimonia in Chiesa ed il rinfresco all’hotel “Piccolo” con molta gente invitata e, poi, subito al lavoro; allo stesso modo per molti anni fino all’età della pensione e molto oltre, solo allora ebbe l’occasione di conoscere le parti nuove del paese: eravamo nel 1965, fu portata dal nipote Manuel, detto “Itto” Fresco alla nuova Chiesa di San Giorgio distrutta dai bombardamenti e non credo che conoscesse la Penisola ed il Faro del Capo. Giovanni e Maria erano rispettivamente il mio padrino e la mia madrina: così lei volle vedere la mia casa del Fondaco ed il mio negozio sul Molo; una sera fu accompagnata dai suoi familiari a vedere dove mi ero sistemato, perché non conosceva la trasformazione della Piazza “delle carrozze” e le abitazioni che la circondavano: si era fermata a quando là esisteva solo l’orto deí Rocca. Ecco perché fu un’istituzione per il paese, il suo mondo era circoscritto in pochi metri: se ne andò in silenzio una notte d’autunno avendo conosciuto tutti, ma senza conoscere purtroppo il piccolo mondo che le stava attorno.
Dopo gli anni ’30 sino ai giorni nostri, cioè al 1995, gli esercizi pubblici in Portofino hanno raggiunto il ragguardevole numero di più di 50, di cui ben 26 fra alberghi, ristoranti e bar con tavola calda. Partendo dal Molo Umberto e salendo per via Roma fino alla piazza, si inizia con l’american-bar ristorante “Strainer” di Enrico Vago, il ristorante “Il Pitosforo” dei Vinelli, il ristorante “Stella”, dei Gazzolo da 4 generazioni, il ristorante “Delfino” dei Velo, la trattoria “Tripoli” di Emanuele Viacava, il caffè “Excelsior” di Vittoria Gazzolo, il bar “Sottocoperta” dei Moresco, la gelateria “San Giorgio” dei Bocchio, l’albergo “Nazionale” di Bruno Gazzolo Briola, la pizzeria “EI portico” dei Balzan, il bar pasticceria “Fabio” di Gimelli, il ristorante “La cisterna” di Rosselli oggi di Gagliardi, il ristorante “Concordia” dei Viacava, eredi di Giovanni ed il bar “Cavalluccio” di Felice Gagliardi. Scendendo per Vico Dritto fino alla Calata Marconi, troviamo l’hotel “Eden” di Maria Osta, il ristorante “Da u Batti” di Gian Bacigalupo, la paninoteca “L’isolotto” di Giuffra e Canepa, il ristorante “Puny” di Luigi Miroli, il ristorante “Al navicello” dei fratelli Seghezzo, il bar “Sole” dei fratelli Emiliani, il bar “Morena” di Ugo Reppetto e Liliana Gardella, il bar “Mariuccia” di Enrico Vago, la “Taverna del marinaio” dei fratelli Viacava, il ristorante “Da Mario” di Aloisio e Federica Denaro, l’american-bar “Lo Scafandro” di Enrico Vago, l’american-bar “La Griffa” dei Raggio, il ristorante “L’Ormeggio” di Giorgio Mussini ed infine, a Paraggi, il ristorante “Teresina”. Sempre nel territorio di Portofino si trova l’albergo “Splendido”, nato dalla trasformazione di una villa patrizia dei Baratta, già molto conosciuti nella storia ligure e in particolare di Portofino.
La meravigliosa idea di creare un albergo fu della signora Valentini Nava, donna molto avveduta nella sua categoria perchè constatò che la posizione di detta costruzione è, nel periodo invernale, climaticamente più favorevole di almeno 5° rispetto al rimanente territorio. All’inizio del secolo, la stagione alberghiera cominciava a fine estate, quando i nordici venivano a svernare in Liguria per la sua temperatura mite grazie ai nostri monti appennini, e specialmente nella Riviera di Levante, da Genova Nervi al Golfo del Tigullio. Così nacque anche l’albergo “Kulm” sul Monte di Portofino, notissimo ai turisti tedeschi; subito dopo vide la luce l’hotel “Splendido”: dopo la signora Valentini Nava, questo albergo passò sotto diverse gestioni, dai Piaggio ai Croce, dagli Emanueli ai Galleppini, e sopportò diverse trasformazioni edilizie, sempre aggiornandosi ai tempi del progresso alberghiero. Vanta un meraviglioso parco con strada privata, piscina con acqua di mare, posteggi per macchine e tutte quelle opere necessarie e indispensabili per dare un’ospitalità ad alto livello: infatti questo albergo è uno dei primi conosciuti in Italia e nel mondo.
Negli ultimi anni, la direzione trasformò in un vero gioiello un vecchio albergo nella Piazzetta di Portofino davanti al porticciolo, chiamandolo “Splendido Mare”: questa operazione ha dato al borgo un esercizio che ha colmato un vuoto, creando vita serale di intrattenimento di altissimo livello che è un vero vanto per Portofino e per la sua immagine nel mondo. Oltre a questi due alberghi, vi sono anche l’hotel “Piccolo” dei signori Fermo e l’hotel “San Giorgio” al Fondaco: quest’ultimo è stato di recente ristrutturato in “stile genovese” di Portofino. Il “Piccolo” Hotel è della società “Domina vacanze” del sig. Ernesto Preatoni. Questo albergo, che vanta un’eccellente conduzione, è situato nella baia “del Cannone” con parco privato, accesso al mare e munito di moderne attrezzature. Le altre attività presenti a Portofino sono sette fra gioiellerie, orologerie ed oreficerie; sulla Calata Marconi troviamo “Cusi” e “Capello”; in via Roma “Adolfo Nostalgia”, “River”, “Alfex”, “Coppini” Le diciotto attività rimanenti sono boutiques.
Sulla Calata Marconi troviamo: “Blu” di Camillo Marchese, “Trussardi”, “Giorgio Armani”, “Jolly” di Gianni Brusacà (oggi “Malo” dei Canessa), “Danda”, “Buscin” di Guido Carbone; sulla piazza Martiri dell’Olivetta troviamo “L’ancora” la prima boutique di Portofino, aperta negli anni ’30 dalle “Libellule Ebree”, “Dinghy”, “Cherie mode” di Manuel “Itto” Fresco, il “Bazar De Angeli”, “Gennaker” di Rachele Prato, “Summertime” boutique delle sorelle Viacava, “La vela” delle sorelle Giardina; in via Roma troviamo MINGO degli Oneto, Mingo è stato l’inventore dei mocassini in sughero, essendo un “uomo d’arte” di ottima inventiva nella moda delle scarpe, oltre che un timoniere da regate; “Azzurro” di Ilona Den Blanken, “Stefanel”, “Tender”, “Cupido, “Donna Lia”, “Louis Vuitton”, “Hermes” di Gadolla; sul Molo Umberto troviamo “Fusi”, “Mori”, “Ermenegildo Zegna”; in Piazza della Libertà troviamo “Rosanna moda mare”, dei Vecchione con annessa tabaccheria. L’altra tabaccheria è in piazza Martiri dell’Olivetta insieme ad altri negozi di scarpe, bazar, gallerie d’arte ed una libreria specializzata “Mursia”.
Oltre a negozi di frutta e verdura ed altri artigiani in genere, in via Roma vi è un fornaio specializzato nella focaccia genovese cui è doveroso dedicare un inciso: il forno dei Figallo, situato in Vico Dritto prima, ed in via Roma dopo. Giorgio Figallo e Antonia Portafoglio appena ventenni si unirono in matrimonio e da Corte a Santa Margherita emigrarono in Portofino, rilevando un esercizio da fornaio da Emanuele Viacava, il Menelik: cominciò così la loro avventura. Eravamo nel 1911 quando questi due giovani volenterosi ed assidui lavoratori presero in affitto la casa ed il negozio, dove esiste ancora oggi. Ma, dopo poco tempo, scoppiò la guerra Italo-Turca per la conquista della Libia, colonia diventata italiana, il Giorgio fu chiamato alle armi e fu mandato a fare la campagna di guerra, così lasciò la giovane consorte che dovette far fronte ad un lavoro molto impegnativo in quanto era diventata anche madre: così, in aiuto per la lavorazione e la produzione del pane, andò la Adele Devoto Ravetti, mamma del pittore autodidatta Angelo Ravetti, detto” Ninin”.
Giorgio il fornaio ritornò dalla guerra e, assieme alla moglie, si rimise al lavoro ma la cosa, cioè la chiamata alle armi, si ripeté dopo qualche anno con lo scoppio della I guerra mondiale, così ancora l’Antonia, detta “Tunitta” dai portofinesi, e la Adele Devoto Ravetti si ritrovarono sole e si rimisero con sacrificio ad assolvere il lavoro della panificazione e produzione del pane, di cui la popolazione necessitava: questa volta durò per ben 4 anni, cioè per tutta la durata della guerra. Così, al suo ritorno, il Figallo poté riprendere il suo lavoro insieme alla consorte e furono talmente intraprendenti che, con i loro sacrifici, poterono acquistare dal Menelik gli immobili dove venne stabilito l’odierno laboratorio e, sopra, l’abitazione che esiste ancora oggi. I coniugi Figallo ebbero due figlie, la Teresa e la Emma, quest’ultima si sposò con Maurizio Canale nel 1947 e continuò il mestiere del fornaio.
L’entrata in famiglia del Canale, esperto commerciante del genere, diede impulso all’esercizio coadiuvato dalla famiglia: essi fecero e fanno ancora oggi parlare dei loro prodotti di Portofino a livello mondiale, se ne ha conferma dalla rivista giapponese -Asahi-Shimbun”, nonché dalla California, dove addirittura venne pubblicata la foto dell’esercizio, con i fratelli Maria Angela e Giorgio, nipoti del capostipite Figallo. Poi, vennero anche premiati con medaglia d’oro di lunga esistenza dell’esercizio e per la qualità di fama internazionale dei loro prodotti. La figlia Emma mi ricorda che, durante l’ultima guerra mondiale, il padre Figallo fu esonerato dal laboratorio del forno, occupato prima dai tedeschi, dopo dalle brigate nere, dopo ancora dagli anglo-americani e, in ultimo, dai sudafricani: in concomitanza con gli occupanti del forno, il Figallo provvide tuttavia anche alla panificazione necessaria per soddisfare la popolazione civile che, in quel periodo, si aggirava sui 1300 abitanti.
Così, nel periodo in cui gli abitanti dovettero sfollare nelle campagne del Monte, il pane veniva distribuito in località Prato e davanti all’osteria del Paolo De Barbieri detto “Nan”, in località San Sebastiano: inoltre, mi fanno presente che il forno era a legna, quindi si può immaginare quale lavoro era necessario per il suo funzionamento a pieno regime. Oltre a tutte queste attività, va fatto un inciso anche per ognuna di quelle che, nel passato, si sono distinte nel loro lavoro sia come qualità di merce che come abilità commerciale e perizia nel mestiere, contribuendo così in modo determinante a far diventare celebre questo paese nel mondo.
Allo “Stella”, appartenente alla famiglia Gazzolo che tradizionalmente gestiva l’attività alberghiera nel paese (detto cognome dall’archivio parrocchiale risulta esistere a Portofino già nel ‘500), attribuirei il seguente aneddoto raccontato sul “Primo Portolano d’Italia”. Ecco come ricorda Portofino, ed in particolare l’albergo-ristorante “Stella” dei Gazzolo, il sacerdote Giovanni Battista Confalonieri, nel 1592: —”mercoledì 11 novembre 1592 giorno a Portofino (la galea) giunse a Portofino discosto da Genova solo 20 miglia, dove senz’altro non solo potevamo arrivare alle sera, ma saressimo giunti avanti, se la reale havesse voluto che si fusse caminato con le vele grandi come fu caminato col trinchetto solo… questo Portofino è fatto dalla natura tra due monti, non è molto grande, et è esposto alli sirocchi che travagliano quei vascelli che vi sono. E’ però assai vago per le case che vi sono attorno: trovammo un pane bianco come un latte, ma non ben cotto, et era così caro, che veniva a costare a ragione di Roma, 18 quattrini la pagnotta, che non poteva esser più di quattr’once: i letti uno scudo per notte, e faceano pagare non solo le stanze ma l’aria stessa.
Vi sono due chiese la Pieve e San Giorgio in cima di un alto monte dove dicono vi sia del corpo di esso Santo. Discosto da questo porto due miglia, vi è il monastero di San Girolamo della Cervara, dei monaci Cassinensi. Quale è tanto bello e fecondo di ogni grazia di Dio, che in quei sassi e monti sterili non si può desiderar più: e hanno così gran giardini che mi meraviglia, dai quali ne raccolgono grano, vino et oglio in tanta quantità che dal grano in fuori che non gli basta per colazione, del restante, ne hanno da vendere, eppure vi stanno da sedici monaci… Sabato alli quattordici detto dopo di aver costeggiato e gustato quattordici miglia in circa di riviera, arrivassimo in Genova, la cui riviera è piena di molti e molti castelletti, porti, fortezze con palazzi senza numero e giardini deliciosissimi con vaghissime prospettive e fabbriche superbissime…”—L’albergo “Nazionale” della famiglia di Silvio Gazzolo cominciò la sua attività come sala da the, dopo come ristorante e, infine, arrivò a costruire una quantità di piccoli appartamenti, comperati con il sacrificio del lavoro continuo.
Nell’albergo “Nazionale”, che ebbe i suoi splendori a partire dagli anni 20, la signora Enrichetta Gazzolo in Bruno ebbe l’arte culinaria innata, pur non avendo frequentato nessuna scuola, e si distinse nel lavoro al punto che mangiarono nel suo ristorante regnanti, prelati, principi, conti e nobili, industriali in genere e persino Guglielmo Marconi che, avendo l'”Elettra” ancorata a Santa Margherita, frequentava in ogni occasione il locale di Enrichetta. Dopo la II guerra mondiale, il ristorante che diventò di moda fu ancora lo “Stella”: una nipote, cioè Giorgia Cupido, lavorando con lo zio Italo ebbe abilità nelle pubbliche relazioni e buona presenza, tanto da far lavorare benissimo l’esercizio e farlo conoscere a livelli così alti che non si diceva: – “andiamo al ristorante Stella” -, ma – “andiamo dalla Giorgia” -perché il suo nome faceva davvero il giro del mondo. Poi, un nuovo ristorante venne aperto dal signor Marco Vinelli sul Molo Umberto I: ereditando un appartamento con annesso giardino ebbe l’idea di aprire un ristorante avendo, il Vinelli, lavorato nel settore della ristorazione a bordo del “Rex”, il transatlantico più veloce del mondo, Nastro Azzurro nel 1934.
Volle portare la sua esperienza in Portofino e chiamò il locale “Il Pitosforo” per la presenza dell’albero: questo locale diventò in poco tempo molto prestigioso, conosciuto ad altissimo livello come pochi in Italia, lavorò intensamente con gli artisti prima e con il giro dell’alta finanza e dell’industria poi. Quanti affari si sono conclusi a Portofino! Un altro ristorante che diventò importante, anche se esisteva già da lunghissimo tempo, era il ristorante “Delfino” dei fratelli Velo; uno dei Velo, il Prospero, che fu sindaco di Portofino per oltre 20 anni, si improvvisò cuoco, trasformò la gestione del suo ristorante e ne diede quell’immagine che piace molto alla clientela altolocata: tutta faceva capo al “Delfino”, avendo il Prospero una presenza bonaria e molto cordiale, egli inventò molti piatti che hanno conquistato il gusto dei clienti. Un aneddoto che voglio raccontare perché mi è rimasto indimenticabile fu quello della signora Costanza Crovari, proprietaria del ristorante Delfino.
Circa nel 1946, al conte Alfonso Bruzzo, che possedeva una villa nella baia del “cannone”, presentarono una persona perché facesse da custode nella sua casa durante la notte: questi era un barcaiolo di nome Emanuele Gimelli, e così l’Alfolso si rivolse alla Costanza per chiedere informazioni su di lui. Lei si prese un periodo di tempo per poter fare un’ indagine, anche se il paese è molto piccolo e tutti ci conosciamo “molto da vicino”. Dopo un po’ di tempo il conte che era un habituè del del ristorante, andò a pranzare lì come al solito, la signora Costanza gli si avvicinò dicendogli. “Lei mi ha chiesto informazioni della persona: bene, io mi sono ben informata e mi è risultato che quando hanno rapito il figlio del pilota americano Lindbergh, questa persona era in America.” Questo dialogo si svolse in genovese e perciò doveva suonare più o meno così: “Quande u l’han rapiu u figgiu du pilota Lamber, u Manue u l’ea pe Meriche.”
Questi aneddoti a Portofino sono molto comuni e sembrano vere barzellette, ma questo merita di essere citato per il gusto dei clienti: oggi il Delfino è un ristorante molto in auge e frequentato da una clientela di classe anche straniera. Un locale che diede pubblicità a Portofino fu “La Gritta”: costruito da Lorenzo Raggio nel 1953, questo american-bar aperto sulla Calata Marconi venne presto conosciuto dagli artisti che, in quel tempo, frequentavano il Borgo; il Raggio era una persona molto brillante, un vero play-boy, una persona facoltosa che, nel suo locale, ebbe la fortuna di essere a contatto con questi personaggi, inoltre conosceva molto bene le lingue straniere e rimase sulla cresta dell’onda finché visse. Da anni, un ristorante che va per la maggiore e che viene spesso nominato dai giornali e pubblicizzato sulle riviste, è il ristorante “Puny“. Luigi Miroli, discendente di una famiglia di armatori, i “Buggi”, figlio d’arte perché la mamma Evangelina Schiaffino era figlia della Santa, proprietaria di una vecchia trattoria che già nel secolo scorso esercitava in Calata Marconi: la “Vange”, subito dopo la Il guerra mondiale, ebbe l’idea di aprire una trattoria “Al Navicello” che, con la sua famiglia, condusse per qualche tempo. Grazie a Giovanni Carbone.
Portofino, un Mondo a parte.