Questo mestiere e uno dei più antichi del mondo in particolare per Portofino, data la sua posizione: fin dai secoli scorsi, prima del 1700, questa categoria si dedicò anche alla pesca del corallo. Con piccole imbarcazioni, detti “leudi”, si spingevano a ponente fino all’isola Gallinara ed ai fondaci di Provenza, a differenza dei vicini di San Giacomo di Corte e di Rapallo che con le loro barche coralliere, si dirigevano sulle coste occidentali della Sardegna. La storia dice che i portofinesi avevano un segreto, quello delle “poste”, cioe le “armie” (ossia il punto nautico sulla carta), segreto che si tramandava di padre in figlio dai vecchi capi barca del ‘700: questi segreti furono rubati da marinai di Portofino che andarono a pescare i coralli con i cercatori catalani gia nel ‘600.
Nella Calata Marconi esistevano delle famiglie che da tempo immemorabile esercitavano costantemente, come se fosse un esercizio aziendale, il mestiere della pesca: era no gli armatori della pesca alla posta, questo lavoro era motto interessante in quanto non conosceva soste e si poteva esercitare tutto l’anno, esistendo il porto, a differenza degli altri luoghi confinanti. Tra questi pescatori, quando si avvicinava la stagione delle acciughe, cioe maggio-giugno, un periodo in cui il tempo ed il mare sono sempre quasi calmi, chi possedeva il gozzo più grande armato con vela latina, si spingeva a “fare la stagione” fino all’isola di Gorgona, fornito di barili di legno speciali per la “saladera” delle acciughe.
La pesca sul posto con le reti invece, si esercitava alla posta per una certa quantità di pescato, con la “sciabega” cioe con la rete a strascico per altre qualita: sempre nelle varie poste erano adoperate altre attrezzature per diverse qualità di pesce, per esempio muggini, bianchetti, totani, aguglie, coneri ed ancora altri attrezzi per la pesca da “schiuma”, cioè a vista. Questo lavoro era motto considerato perche trainava altre categorie economiche, coinvolgeva altre persone e, quindi, altre famiglie: dai maestri d’ascia ai retifici, alle ragazze che armavano e riparavano le reti ed altri accessori indispensabili per meglio sfruttare il mestiere; inoltre, quando era richiesta maggiore manodopera specialmente nella stagione del pesce di passaggio, esisteva una “chiamata” come si usava a Genova sui bastimenti come il “Corve”, per le persone in attesa di lavoro: si esercitavano cosi due tipi di pesca contemporaneamente.
Riguardo chi esercitava questa economia dato che non esisteva allora un registro navale di barche da pesca a remi in posta, non si può fare un elenco storico, ma si può ricordare a memoria d’uomo e per sentito dire, ossia si pue riportare un elenco di nomi di uomini e di barche, grazie all’aiuto dei figli degli stessi e partendo dalla registrazione della casa della Capitaneria, detta “a Sanite”. 1) Antonio, detto “To” e G. B., detto “Bai” Merello, detti “Barachetti”, con il loro gozzo “Veloce”. 2) Camillo Forte ed i nipoti Gaetano e Mario Mussini, con i loro gozzi “Anna V.” e “Emilia”. 3) Domenico Prato, detto “Ahia”, con il suo gozzo la “Nuova Maria”. 4) Giorgio Viacava, detto “U Brassin”, con il suo gozzo “San Giorgio”, diventato poi della sorella Teresa, detta “Pittella” o “Tiri”. 5) Luigi Viacava detto “Luigiluigi”, con il suo gozzo “Libero”. 6) Carmelo Carbone, detto “Carmelin”, con il suo gozzo “Divina Provvidenza”. 7) Giovanni Prato ed i nipoti Giorgio ed Attilio Costa, detto “Razaulla”, con il suo gozzo “San Giuseppe” 8) Giovanni Bosetti, detto “u Pagin”, con il suo gozzo “Diavolo”. 9) La famiglia Carniglia, “u Giancu”, detti “Rivani”, oggi Nando e Bartolomeo, detto “Bertume”, con il loro gozzo “Adele”. 10) Luigi Viacava detto “Figaro”, con il suo gozzo “Nicoletta”. 11) Carlo Rosselli detto “Carluccio”, genero di “Menelik”, con il suo gozzo “Bagodo”. 12) Nicola Viacava, detto “u Tripoli”, con il suo gozzo “Nicolin”.
Oggi sono rimasti soltanto 4 pescatori professionisti ben attrezzati, anche perche il tipo di pesca e cambiato radicalmente sia per il tipo di attrezzi sia per la qualita di pesce che si puo mettere in commercio, ossia aragoste, branzini ed altri pesci di qualita: il tipo di pesce che si pescava un tempo, infatti, oggi non è più commerciabile perche poco richiesto. I nomi dei 4 pescatori sono: 13) Guido Giardina, detto “u Ferrao”, ottimo pescatore di aragoste e buon conoscitore di attrezzi da pesca: ha infatti inventato un “esercizio” per aumentare il pescato senza rovinare gli attrezzi.
II suo gozzo si chiama “Moro”; 14) Nando Carniglia detto “Rivano”, con il suo gozzo “Angela”; 15) Antonio Traverso, detto “u Vutrin” o “u Tramba”, con il suo gozzo “Pulin picin”. 16) Emanuele De Barbieri, detto “Cuxian”, con il gozzo “Lorenzo”. Questi tipi di pesca venivano, e vengono, esercitati lungo la costa ed il diritto di pesca veniva consentito nell’ambito delle acque del territorio comunale, fissando le reti alle funi e queste ancorate a scogli ben precisi e, ad ogni scoglio, veniva dato un nome gia dai tempi antichi: per consuetudine, lo scoglio veniva praticato a turno con precise regole dettate dal frequentatore abituale e siccome parlerò anche dei pescatori di canna, vorrei trascrivere i nomi degli scogli in cui vi erano sia le poste delle reti che quelle della canna.
Partendo dalla Cervara, andando verso Portofino sino alla punta di San Fruttuoso dove si esercitava sempre la pesca regolamentare, si trovano: 1) lo Scala dei Frati, dove Portofino aveva un diritto per la “bastinea”, doe la rete speciale per la pesca dei tonno e dei cetacei; 2) la Carega, 3) il Forno, 4) la Punta del Castello, 5) la Scalinata di Menestra, 6) la Punta di Niasca e 7) Niasca. Siccome a Paraggi esistevano 2 barche da pesca, veniva permesso a quelli di Portofino di andare sino alla Cervara ed a quelli di Paraggi di andare fino alla Punta Carega, con il diritto di precedenza sino al calar del sole a quelli di Paraggi.
Le 2 imbarcazioni erano “II volo” dei Crovo e dei Carbone, mio nonno, ed il “Baracchetta“, di Agostino Sacco detto “Ostinin”. 8) Tre Pini, o posto della “musea” doe la rete per la pesca dei muggini, 9) Manzo, 10) Cajega, 11) Anello, 12) Tana del Prete, posto per la sciabega, 13) l’Uomo, 14) il Cannone che aveva una tripla funzione, posto per la sciabega, per le reti e per il “conero” (coppo), 15) Secche delle Menole, 16) Piede dell’Oca, 17) la Sanita, 18) la Putella, posto per la musca, 19) Punta del Coppo, 20) Cassi, 21) Posta dell’Olivetta, the aveva la triplice funzione di reti, sciabega e conaro, 22) il Cavallo, 23) Punta dell’Olivetta, 24) Battaglia, 25) Segaiolo, 26) Secca di Pun, 27) Pigna, 28) il Grillo, 29) Punta del Faro, 30) il Muschio, 31) /’Inferno, 32) Sciusciello, 33) la Nave, 34) Scoglietto, 35) Fossa dei Gatti, 36) be Banche, 37) Tacca della Baracchina, 38) Cadea, 39) Santa Ga, 40) Tognia, 41) Vitrale, 42) dalla Madonna, 43) Martinello, 44) Secche del Cane, 45) Cianetta, 46) Punta del Ghiaccio, 47) Vexinaro, 48) Rapallina, 49) Altare, 50) Buexin, lo Scarmo, 52) le Fasce, 53) Deruau, 54) Scoglio di Alfredo, 55) Rufinale, 56) Secche delle Capre, 57) Punta di Rufinale, 58) Sotto Grinda, 59) Sant’Angelo, 60) Scoglio dei Muggini, 61) i Ravioli, 62) la Grotta, 63)Punta di San Fruttuoso.
In tutti questi nomi delle poste, ce n’e una parte ad esclusiva disposizione della pesca con le reti, il posto veniva tirato a sorte a rotazione giornaliera dalla punta del Faro a Cajega, chi comandava il turno era il pescatore piu assiduo e quando gli altri venivano a sapere che c’era più abbondanza di pesce, “chiedevano il turno”: questo pescatore aveva la scelta della posta più redditizia, ed il posto degli altri era tirato a sorte mettendo in un cappello tanti biglietti quanti erano i nomi delle poste. Cosi era anche per la pesca dei muggini, cosi per la sciabega e per il conaro.
Per quelli della canna, invece, c’era la regola del “primo arrivato” che, secondo la stagione, si dava il cambio con un pescatore che poteva occupare un altro posto, lasciandoci solo la canna ed un secchio con l’appanno pronti per pescare: vigeva la regola che se I’appanno era asciutto, il posto era considerato occupato abusivamente, se l’appanno era bagnato il posto era occupato giustamente e non poteva essere “usurpato” da nessuno. Riguardo queste regole non scritte che I’uomo si era dato, la Capitaneria di Porto le riteneva legali per la consuetudine e, nelle contestazioni, si rivolgevano al Comandante del circondario che decideva.
LA VENDITA DEL PESCE ED IL MERCATOQuelli del Monte di Portofino vendevano il loro pescato a domicilio assieme ai prodotti del Monte, mentre quelli del paese effettuavano la vendita con la stadera, sulle panchine intorno alla piazza: il pescatore di turno alla vendita gridava la qualità del pesce per informare la popolazione dell’inizio del mercato. In Portofino, quando il pescato superava la richiesta, la rimanenza veniva dirottata su altre Piazze del Golfo: c’era chi andava a remi di notte a Rapallo ed anche chi andava nelle campagne delle frazioni, chi invece andava normalmente a San Giacomo di Corte a Santa Margherita, dove c’erano due magazzini di due donne rivenditrici di pesce per il mercato, ne voglio citare i nomi per dimostrare come la tenacia del liguri premia chi ha l’iniziativa.
Con l’avvento della ferrovia e della strada carrabile, il traffico della merce veniva trasportato velocemente: cosi raggiungeva i mercati delle città con facilità e, di conseguenza, si poteva aumentare il quantitativo del pescato. Due famiglie si distinsero nel commercio a Genova, prima con la ferrovia dopo con mezzi propri di trasporto: erano l’Angiolina Carbone in Bardi, detta “la Camelia”, e l’Emilia Carbone in Figari, detta “Mida”.
Queste due donne di Santa Margherita frequentavano gia le piazze di Genova per il commercio del pizzo al tombolo: una di queste, la Camelia, intuiva la possibilità di una nuova attività, avevano due fondi sotto i portici di Corte in via Bottaro, dove esisteva il concentramento del pesce che affluiva da Portofino e dai pescatori di Santa Margherita Ligure. Queste donne, molto attive ed esperte in materia, si destreggiavano sue mercati della città esportando il pescato locale ed importando il pesce di qualità richiesto dagli esercizi pubblici, come i ristoranti. La Camelia, che prima commerciava solo il pizzo al tombolo a Genova, era stata la prima ad intuire che questo importante commercio sarebbe diventato un promiscuo fra il tombolo e il pesce per e da Genova.
Questa persona aveva organizzato cosi bene il commercio che i figli, prima Andrea e Agostino, oggi Gianni e Giuseppe Bardi, continuano ad esercitare detto commercio con molta abilità ed esperienza, adeguandolo ai tempi nostri, diventando importatori ed esportatori a livello internazionale e conquistando un largo territorio commerciale in Liguria. L’attività del pescatore e stata esercitata assiduamente fino alla fine della seconda guerra mondiale e proseguita con successo finche vissero i nostri padri, cioè fino agli anni ’50: ma il turismo avanzava e la nautica stava occupando lo spazio della marineria dei pescatori, cosicchè le persone erano costrette per sopravvivere a cambiare attività. Grazie a Giovanni Carbone.
Portofino, un Mondo a parte.